Четвер, 28 листопада 2024

Messaggio ai sacerdoti circa la pastorale in condizioni di guerra

poslannija blaz sviashCari confratelli nel sacerdozio di Cristo!

            Nell’ultimo anno nella pratica pastorale sorgono spesso davanti a noi sfide e domande, con le quali fino ad oggi non avevamo a che fare: morti di massa degli attivisti alla Maydan, la guerra nell’Ucraina orientale, l’atmosfera di angoscia, insicurezza e paura, e di conseguenza sintomi di depressione e sfiducia nella società. Eppure, nel contempo si osserva nel popolo ucraino il forte e autentico risveglio dello spirito umano e della solidarietà, il desiderio di lavorare per il bene comune, nonché manifestazioni di una degna e sorprendente auto-organizzazione ed abnegazione.

            La fiducia della società verso la Chiesa resta al più alto [livello]. Ciò significa che la gente si aspetta dalle guide spirituali degli orientamenti in questo tempo difficile. In quanto in ogni parrocchia ci sono coloro che partecipano alle operazioni militari, i loro familiari o conoscenti; molte famiglie hanno sofferto per la perdita di familiari e vicini. La guerra ha toccato tutti gli abitanti del nostro Paese. Persino quelli che seguono gli eventi in occidente davanti agli schermi dei televisori sono stati indirettamente coinvolti in essi, e per tanto anch’essi sono traumatizzati.

            La chiesa non ha delle risposte veloci e pronte a tutte le domande. Noi dobbiamo chiedere in ogni tempo lo Spirito Santo, affinché alla luce della Sapienza Divina ci aiuti a fare la volontà di Dio nel nostro servizio pastorale. Nel contempo, vogliamo separare alcuni problemi e proporre delle comunicazioni chiave, nonché le loro possibili soluzioni alla luce della Parola di Dio e della dottrina sociale della Chiesa Cattolica.

 

            La guerra informativa e come opporvisi

            Non a caso le guerre moderne si chiamano “ibride”, in quanto si svolgono contemporaneamente su molti livelli. Su questo tipo di guerre ha già parlato il Concilio Vaticano II, e successivamente la Chiesa insegnava: “…la complessità inoltre delle odierne situazioni e la intricata rete delle relazioni internazionali fanno sì che vengano portate in luogo, con nuovi metodi insidiosi e sovversivi, guerre più o meno larvate. In molti casi il ricorso ai sistemi del terrorismo è considerato anch’esso una nuova forma di guerra” (Gaudium et spes, 79); “bersagli degli attacchi terroristici sono, in genere, i luoghi della vita quotidiana e non obiettivi militari nel contesto di una guerra dichiarata” (Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 513).

            Un’altra caratteristica di questo nuovo tipo di guerre è “la guerra informativa”: molteplici comunicazioni, spesso contraddittorie, che impressionano profondamente la sfera emotiva dell’uomo, opprimono il suo stato, lo disorientano, seminano il panico. Siamo diventati testimoni di come le operazioni militari in oriente sono state anticipate e continuano ad accompagnarle un attacco informativo mai visto, orientato a diversi destinatari: nel Paese aggressore, in Ucraina e nel mondo occidentale. Questa tattica dell’aggressore non è nuova. A suo tempo San Giovanni Paolo II scrisse nel su Messaggio per il 50° anniversario della fine della II Guerra Mondiale: “Durante la seconda guerra mondiale, oltre che alle armi convenzionali e a quelle chimiche, biologiche e nucleari, s’è fatto ampiamente ricorso ad un altro micidiale strumento bellico: la propaganda. Prima di colpire l’avversario con i mezzi della distruzione fisica, si è cercato di annientarlo moralmente con la denigrazione, le false accuse, l’orientamento dell’opinione pubblica verso la più irrazionale intolleranza, mediante ogni forma di indottrinamento, specialmente nei confronti dei giovani”.

            Bisogna riconoscere che la società ucraina è risultata del tutto impreparata e troppo fiduciosa, acritica verso i media ed incapace di opporsi alla guerra informativa. Ci sono casi, chiamati “morti davanti alla televisione”. Certamente la Chiesa in termini stretti non potrà insegnare alla gente la media-istruzione, tuttavia può proporre alcune ricette per usare i media, secondo quanto segue:

-          L’informazione – è un’arma potente, che uccide i creduloni, pertanto bisogna avere un atteggiamento molto attento nei suoi confronti. Un’eccessiva quantità d’informazione, soprattutto negativa, è una delle cause principali dell’apatia, della delusione e del panico.

-          Bisogna osservare una certa “igiene informativa”: non guardare tutti i canali possibili e la pubblicazione delle notizie, non divulgare le voci, usare con responsabilità le reti sociali (che sono uno dei mezzi di comunicazione più manipolati).

-          È importante difendere i bambini dal trauma delle informazioni mediali. Si può consigliare ai genitori di non lasciare i bambini da soli con un fiume di informazioni distruttive sulla guerra, ma spiegargli in un dialogo di fiducia quello che succede nel Paese ed invitarli alla preghiera familiare comune per i deceduti ed i feriti, per la fine della guerra e la pace di Dio in Ucraina.

-          L’informazione “sulla morte”, che è un elemento di propaganda e di manipolazione, come anche diversi tipi di notizie, impregnate di elementi di violenza e morte, noi credenti possiamo e dobbiamo confrontarle con la Parola di Dio, che persino in mezzo ad apparenti situazioni disperate, porta la buona notizia della speranza e la promessa della salvezza. Pensiamo a quanta forza spirituale portano con sé queste parole della Sacra Scrittura: “Fermatevi e sappiate che io sono Dio, eccelso tra le genti, eccelso sulla terra. Il Signore degli eserciti è con noi, nostro rifugio è il Dio di Giacobbe” (Sal 46, 11-12); “… fermatevi bene ordinati e vedrete la salvezza che il Signore opererà per voi, o Giuda e Gerusalemme. Non temete e non abbattetevi. Domani, uscite loro incontro; il Signore sarà con voi” (2 Cr 20, 17); “Chi si vanta dei carri e chi dei cavalli, noi siamo forti nel nome del Signore nostro Dio. Quelli si piegano e cadono, ma noi restiamo in piedi e siamo saldi” (Sal 20, 8-10 [20, 8-9]); “Perché la vittoria in guerra non dipende dalla moltitudine delle forze, ma è dal Cielo che viene l’aiuto” (1 Mac 3, 19); “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?” (Rm 8, 31); “Con Dio noi faremo cose grandi ed egli annienterà chi ci opprime” (Sal 108, 14). Per questo invitiamo con insistenza a leggere la Parola di Dio nella cerchia familiare, che diventerà per noi un appoggio durante la tempesta e spinge alla preghiera – personale e comune – per la pace e la benedizione della nostra Patria.

 

La mobilizzazione e le questioni ad essa legate

Innanzitutto, rivolgo un’attenzione particolare sul valore e l’importanza del servizio da cappellano dei nostri sacerdoti: che siano in prima linea o negli ospedali militari. Esprimiamo un profondo riconoscimento e gratitudine sincera a tutti i nostri sacerdoti, diaconi e religiosi per l’esempio di coraggio ed il sacrificio pastorale, che essi manifestano nelle difficili condizioni attuali. Nel contempo, ricordiamo che la vocazione del consacrato è esclusivamente nel campo spirituale e religioso, è per questo che il sacerdote non può essere un partecipante attivo alle operazioni militari, non può far uso delle armi, ricordando che la nostra arma è innanzitutto spirituale: “… la verità, la giustizia, lo zelo per propagare il Vangelo della pace, salda come lo scudo della fede e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio” (cfr. Ef 6, 13-17). Questa “arma di Dio” è rafforzata dalla preghiera incessante e costante, con opere di penitenza ed il digiuno, è capace di superare la causa principale di qualsiasi conflitto: il peccato dell’uomo. Pertanto essa, nelle mani del religioso, non è meno operante per poter raggiungere all’aspirata vittoria che l’arma nelle mani dei militari.

La difesa della patria – è un diritto e un dovere di ogni cittadino cosciente e responsabile. Mentre la definizione circa la convenienza della mobilizzazione, la sua proclamazione e la sicurezza di coloro che sono richiamati alle armi, necessaria a tutti per la difesa della patria – è di competenza dello Stato. Nel tempo dello svolgimento delle operazioni di mobilizzazione nel paese bisogna ricordare quanto segue:

-          I sacerdoti non possono essere uno strumento per svolgere la mobilizzazione. Nel contempo, essi non osino esortare ad evitarla, persino indirettamente. Oltretutto, i sacerdoti e la Chiesa in generale, circondano con la preghiera incessante e con opere concrete i nostri militari, le vittime dell’aggressione, si prendono cura dei feriti, delle famiglie dei deceduti, ecc.

-          La Chiesa, riconoscendo il diritto ed il dovere del popolo di difendere la propria terra, non desidera trattenere le funzioni dello Stato o i suoi enti della difesa per quanto riguarda l’organizzazione e lo svolgimento di questa difesa. Al contrario, noi appoggiamo coloro che sono richiamati alle armi, le loro famiglie con la preghiera ed esprimiamo gratitudine con tutto il popolo di Dio per quei nostri concittadini che sono disposti a dare la propria vita per i loro amici, secondo il comandamento di Cristo (cfr. Gv 15, 13). La Chiesa innalza quotidianamente le proprie preghiere per “l’autorità e tutto l’esercito militare”, e nelle condizioni drammatiche attuali questa preghiera è divenuta ancor più zelante e insistente.

-          Insieme alla preghiera, la Chiesa organizza e pratica le opere di misericordia verso tutti coloro che difendono la nostra Patria e chi è stato vittima della disgrazia militare. Esprimendo sincera gratitudine a tutti i benefattori conosciuti e sconosciuti, esortiamo con insistenza il nostro clero, i religiosi ed i laici a continuare a manifestare una solidarietà operante verso le vittime e, secondo la possibilità, contribuire a diminuire le sofferenze dei nostri connazionali attraverso opere di misericordia. È necessario sostenere in particolare i feriti, le persone che sono state obbligate a trasferirsi, i familiari dei deceduti, soprattutto le madri, le mogli ed i figli, gli anziani, ecc.

-          I sacerdoti, come annunciatori della pace e del bene, devono avere un atteggiamento molto responsabile per quanto riguarda le esortazioni che rivolgono ai propri fedeli dagli amboni tradizionali e con la mediazione dei mezzi moderni come le reti sociali. Non permetteremo che un sacerdote, cedendo ai propri sentimenti umani disordinati e torbidi, che proclami l’intolleranza, la sfiducia, l’aggressione e l’odio contro chiunque. Cristo ci dice di amare persino i nemici (cfr. Mt 5, 44), e la fedeltà a questo comandamento mostra quanto noi siamo suoi discepoli, quanto crediamo veramente nella potenza dell’amore di Dio, che è più forte dell’odio e della morte stessa. Qui è opportuno ricordare le parole del grande Metropolita Andriy, il quale in condizioni non meno drammatiche all’inizio della II Guerra Mondiale ha scritto al suo clero: “L’odio soltanto distrugge – non ha mai costruito niente e non costruirà mai. Tuttavia, nel nostro lavoro, dobbiamo guardarci da tutto ciò che potrebbe condurre verso quell’odio, e difendere la gente come fossero davanti a veri nemici, davanti a persone che lottano con odio e divulgano l’odio. La nostra bandiera è la bandiera dell’amore. Essa non entra mai in alleanza con la bandiera di qualsiasi odio. L’amore cristiano persino quando difende davanti a un vero male del nemico non può cessare di essere amore, non può né avvicinarsi, né diventare simile all’odio. L’amore umano, che abbraccia tutti gli uomini senza eccezioni, sarà per sempre una caratteristica giusta della cristianità, ogni lavoro di un autentico cristiano deve esserne caratterizzato (Lettera pastorale al clero “Sulla questione sociale”).

-          I sacerdoti devono essere estremamente attenti anche ad esprimersi per quanto riguarda le operazioni militari e la mobilizzazione. Bisogna studiare più profondamente la dottrina sociale della Chiesa Cattolica, in particolare i criteri del comportamento morale dei cristiani cattolici e del clero in condizioni di guerra, in modo da non smarrirci noi stessi e non portare gli altri su vie traverse morali e spirituali.

-          Sottolineiamo, che i sacerdoti che si mettono in viaggio al fine di adempiere il servizio da cappellano nella zona delle operazioni militari, devono farlo con il permesso esplicito e la benedizione del proprio Ordinario, nonché osservare con precisione le indicazioni e le norme, elaborate dal Dipartimento per la pastorale delle strutture militari in collaborazione con il Ministero della Difesa d’Ucraina.

 

Il superamento del panico, del trauma e dell’odio

Le persone hanno diversi traumi: qualcuno è traumatizzato per le informazioni, un altro è disorientato per la difficile situazione economica e non sa come sopravvivere in tempi difficili, qualcuno soffre per il dolore della perdita di una persona vicina o semplicemente per la tragedia di tutto il popolo – la colpa sostitutiva (“io sono seduto in una casa calda, mentre qualcuno muore in prima linea, sono colpevole della sua morte”). Il trauma fa scaturire nel cuore dell’uomo il panico e può portare ad un’aggressività o persino all’odio. Anche in questo caso si deve raggiungere “la farmacia spirituale”, per ricevere l’aiuto necessario sia per sé stessi, che per il nostro prossimo. Quindi, bisogna ricordare:

-          La guerra, nella quale l’Ucraina è coinvolta, deve essere svolta per la vita, e non per la morte: noi vi partecipiamo non con odio verso i nemici, ma difendiamo la vita, la terra nativa dall’aggressore, privato dei principi morali;

-          Gli eventi che sopportiamo sono una prova per tutti noi. Sono temporanei, nonostante la brutalità ed il livello della violenza. La guerra finirà, e noi possiamo con l’aiuto di Dio rinnovare il nostro Paese e curare le ferite sul corpo del nostro popolo.

-          Non bisogna perdere di vista in nessun caso la prospettiva futura: la prospettiva della pace e la ricostruzione della nostra patria. Anzi, già adesso, ciascuno al proprio posto, dobbiamo costruire il nostro Stato che sogniamo, che desideriamo trasmettere in eredità ai nostri figli e nipoti. Otterremo la vittoria tutti insieme, alcuni con passi grandi, altri con piccoli passi: alcuni rischiano la vita, altri occupano una posizione di principio per quando riguarda la concussione e chi semplicemente ha una convivenza di pace con i vicini, chi sostiene le vittime, ecc. C’è guerra ovunque: si può stare seduti e aver paura, ma si può anche e bisogna continuare a vivere e lavorare per la vittoria comune.

-          Il dolore sincero per le vittime (dei militari e dei civili) non deve cancellare l’ottimismo e la gioia autentica della vita. I militari muoiono affinché il popolo viva, pertanto è opportuno, ricordando il loro sacrificio per la salvezza di molti, valorizzare ogni vita e non vanificare nessuno dei suoi minuti.

-          Davanti al volto dell’aggressione e dell’odio, che seminano la morte e la devastazione nella nostra terra, non dobbiamo permettere che si chiudano nel nostro cuore tali sentimenti negativi come l’odio e il desiderio di vendetta, persino verso i nemici. È ancora peggio ascoltare i pregiudizi e l’impazienza verso quei nostri fratelli e sorelle dall’oriente che hanno perso le loro case, sono stati obbligati ad abbandonare la loro parte [di terra] e adesso vivono in mezzo a noi come persone che si sono trasferite per forza. Con le espressioni di solidarietà, ospitalità e amore dobbiamo fargli capire che essi sono coinquilini desiderati nella nostra casa comune, che porta il nome “Ucraina”. A suo tempo i nostri fedeli saranno giudicati per le proprie convinzioni verso le prigioni dell’Unione Sovietica, dopo aver passato il periodo della punizione non avevano la possibilità di tornare nella Galizia, per questo trovavano in altre regioni d’Ucraina un’altra piccola patria. L’esperienza recente della nostra emigrazione verso i Paesi dell’Europa occidentale mostra altresì quanto sia importante l’apertura e l’ospitalità della locale comunità cristiana verso i nuovi arrivati. Adesso è giunto il nostro turno, che viviamo in territori pacifici, di manifestare la solidarietà verso coloro, i quali le operazioni militari dell’aggressore straniero hanno obbligato ad abbandonare la propria casa. In situazioni come queste, la posizione del pregiudizio, l’intolleranza, l’aggressione verso le persone che si sono trasferite, non sarebbe una manifestazione di vero patriottismo, ma al contrario significherebbe collaborare con il nemico che vuole dividere il nostro popolo per distruggerlo definitivamente. La Sacra Scrittura avverte: “Per il dilagare dell’iniquità, l’amore di molti si raffredderà” (Mt 24, 12). Non permettiamo che la crudele realtà della guerra uccida in noi i sentimenti di amore e bontà, innanzitutto verso i nostri concittadini, che sono i nostri fratelli e sorelle consanguinee, e non semplicemente degli “immigrati” senza nome. Esortiamo i nostri pastori ed i fedeli in questo tragico periodo di manifestare tutta la propria maturità cristiana e di vedere nelle persone che hanno abbandonato le proprie case Cristo sofferente e cacciato. Proponendo loro un accompagnamento umano e spirituale, facciamo conoscere a questi nostri fratelli e sorelle la nuova mentalità, l’Ucraina nuova nella quale tutti desideriamo vivere. Approfittiamo di queste difficili condizioni per realizzare la meravigliosa chiave, sotto la quale negli ultimi anni abbiamo riconquistato e abbiamo affermato l’unità del nostro Paese: “L’oriente e l’occidente insieme!”. Non consideriamo quello che a volte ci divide, ma cerchiamo e affermiamo tutto ciò che ci unisce, ci avvicina e ci imparenta! Perché tutti noi non siamo solo figli della stessa terra, ma, innanzitutto, figli dell’unico Dio, al quale ci rivolgiamo con le parole della preghiera del Signore “Padre nostro”.

 

Vincere il male con il bene: consigli pratici ai pastori

La nostra risposta alla situazione nel Paese deve essere il doppio zelo pastorale, il servizio sacerdotale al quale siamo chiamati come pastori nella Chiesa di Cristo. Tra le pratiche della vita cristiana bisogna porre in rilievo quelle più importanti: la preghiera, il digiuno e l’elemosina:

-          “Il cavallo è pronto per il giorno della battaglia, ma al Signore appartiene la vittoria” (Pr 21, 31). Sapendo questo, l’uomo spirituale, il credente pone sempre e in tutte le condizioni la preghiera al primo posto, - l’invocazione a Dio per la grazia e la liberazione dal male. Oltre ad adempiere le indicazioni dei Vescovi eparchiali ricordiamo ai nostri pastori le disposizioni circa la preghiera per l’Ucraina che sono state emesse in precedenza. Si tratta in particolare della preghiera quotidiana per l’Ucraina alle ore 21.00 che bisogna fare nelle nostre chiese, nei monasteri e nelle case dei nostri fedeli. Dopo ogni Liturgia continuiamo a pregare l’inno ecclesiale “Dio grande, unico”. Lodevole è la pratica, che è opportuno divulgare, dell’orazione perpetua, quando le comunità parrocchiali, religiose e di preghiera si dividono tra i partecipanti le preghiere durante la giornata in modo tale che la preghiera per l’Ucraina sia fatta incessantemente. Ricordiamo che la fedeltà nella preghiera è un nostro santo dovere e un debito cristiano verso i militari, che sono disposti a donare la propria vita per il proprio popolo e lo Stato.

-          Bisogna rafforzare la preghiera con il digiuno, sacrificando per questo un giorno alla settimana, secondo la divisione dei giorni di digiuno proclamati precedentemente nelle eparchie e negli esarcati d’Ucraina.

-          Bisogna fare opere di misericordia ed invitare i fedeli a farle. Quello slancio di bontà e di amore cristiano che ultimamente si è manifestato tra gli adulti ed i giovani nel vasto movimento di volontariato, è un grande dono per il nostro popolo e un segno di speranza per la vittoria della forza del bene sulle forze delle tenebre che sono entrate nelle nostra terra. È importante che il sacerdote sia colui che è capace di accendere le persone al servizio disinteressato, egli stesso darà esempio di una tale posizione benevola e indicherà diverse possibilità di volontariato là, dove c’è più bisogno.

-          San Paolo esorta i destinatari in una delle sue lettere: “Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto” (Rm 12, 15), mostrando l’importanza di vivere insieme gli eventi gioiosi e quelli tristi nella vita della comunità cristiana. Veramente, nelle condizioni attuali è particolarmente importante far sentire ai bisognosi la nostra vicinanza, l’appoggio e la compassione. Pertanto nel contesto degli incontri di preghiera o dopo di essi, bisogna creare un’occasione alle persone per stare insieme, per esprimere le proprie pene, affinché essi percepiscano la forza guaritrice della preghiera, della Parola di Dio e la presenza compassionevole dei fratelli nella fede. Nel contempo, è opportuno dare a coloro, ai quali la guerra ha toccato direttamente, la possibilità di un dialogo non forzato (ad esempio “bevendo un té), ma il sacerdote deve condurre dialoghi in modo tale che non si trasformino in un meccanismo per la divulgazione del panico.

-          È importante svolgere le preghiere per i defunti, affinché le persone vivano il lutto insieme e non in solitudine.

-          Bisogna rivolgere un’attenzione particolare alla divulgazione irruente dell’abuso di alcool in questo tempo di inquietudine. Particolarmente sensibili a questa sciagura sono coloro che hanno partecipato alle operazioni militari. Il sacerdote deve ricordare che l’alcolismo è una malattia incurabile pericolosamente mortale, che causa alla persona un male non minore rispetto alla pallottola del nemico, e diventa una grande disgrazia per la sua famiglia e per tutta la società. L’abuso di alcool non è solo un mezzo per allontanare il disordine stressante post-traumatico, ma al contrario lo approfondisce. Dobbiamo in ogni modo propagandare uno stile di vita sobrio, dare l’aiuto dovuto ai dipendenti, divulgare i movimenti di sobrietà nella nostra Chiesa, incoraggiare a sacrificare per il bene del prossimo la rinuncia personale all’abuso di alcool, iscrivendosi al Registro parrocchiale della sobrietà.

-          C’è ancora un attuale problema, sul quale è opportuno vigilare. Si tratta della tendenza delle persone, deboli nella fede, di cedere a diversi tipi di pratiche occulte per il “chiarimento delle questioni sconosciute”: il luogo per ritrovare i dispersi, la previsione sulla fine della guerra, ecc. In caso di pericolo e angoscia alcuni cercano risposte semplici a domande difficili, soluzioni economiche a situazioni difficili. Pertanto ricordiamo che in nessuna situazione, persino la più difficile della vita personale o comune può giustificare il cedimento alle forze del male, poiché tali azioni sono un dialogo diretto con il diavolo, ed esse non favoriscono in modo alcuno la vittoria sul male, ma al contrario lo moltiplicano. Invece, adesso come non mai è necessario rivolgersi all’unico Dio, in piena fiducia verso di Lui e appoggiandosi alla sua forza liberatrice e la grazia guaritrice.

 

La cura pastorale

Anche se i nostri militari adempiono il loro dovere santo e civile della difesa della vita innocente davanti all’aggressore ingiusto, la loro coscienza è ferita da una esperienza tragica. Per questo vogliamo rivolgere un’attenzione particolare su alcuni aspetti morali, legati alle operazioni militari ed ai loro partecipanti diretti.

-          La Sacra Scrittura indica l’atteggiamento particolare di Gesù Cristo verso i militari. Vale la pena ricordare il centurione romano, che desiderava guarire il proprio servo ed aveva una fiducia tale nella forza di Cristo che ha potuto dire: “Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito” (Mt 8, 8). Oltretutto, il primo tra i pagani a convertirsi è stato il centurione Cornelio e la sua famiglia (cfr. At 10). Quindi la Parola di Dio presenta sempre con rispetto il militare, che nello stesso tempo adempie il proprio servizio per la tutela della pace e la vita innocente. Conservando fedelmente queste e molte altre testimonianze della Sacra Scrittura, la Chiesa condanna le guerre ingiuste, tuttavia non cessa mai di curarsi di quelli che con le armi nelle mani adempiono il servizio a nome dell’autorità legittima e giusta per servire la pace e difendere la vita. Pertanto, qualsiasi dottrina che considera la vocazione al servizio militare inappropriato al Vangelo è infondato.

-          La vocazione del militare non contraddice la vocazione del cristiano. Anzi: si può essere un militare ed un santo! San Giovanni Paolo II, Papa, rivolgendosi a suo tempo ai militari riuniti all’udienza, ha notato: “Chi meglio di voi, carissimi militari, può rendere testimonianza circa la violenza e le forze disgregatrici del male presenti nel mondo? (Omelia per il Giubileo dei Militari e delle Forze di Polizia, 19 novembre 2000).

-          La Chiesa Cattolica insegna: È legittimo esigere il rispetto per il proprio diritto alla vita. Chi difende la propria vita non è colpevole di omicidio, anche se è obbligato a provocare un colpo mortale al proprio avversario: “Se uno nel difendere la propria vita usa maggior violenza del necessario, il suo atto è illecito. Se invece reagisce con moderazione, allora la difesa è lecita […]. E non è necessario per la salvezza dell’anima che uno rinunzi alla legittima difesa per evitare l’uccisione di altri: poiché un uomo è tenuto di più a provvedere alla propria vita che alla vita altrui”(San Tommaso d’Aquino, Summa Teologica, 2-2, 64, 7)” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2264).

Pertanto, “la legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere per chi è responsabile della vita di altri” (idem, 2265).

-          Ci sono condizioni in cui il ricorso alle armi per la difesa dell’aggressore ingiusto è non solo ammissibile, ma è anche l’unico mezzo possibile (per questo é moralmente giustificato), per fermare il male e non permettere la divulgazione dell’aggressione mortale per molte persone. Qui vale la pena ricordare le condizioni della difesa legittima con la forza militare. Quindi, affinché il ricorso alle armi contro l’aggressore ingiusto sia giustificato è necessario nel contempo: 1) che il danno causato dall’aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo; 2) che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rilevati impraticabili o inefficaci; 3) che ci siano fondate condizioni di successo; 4) che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare. La valutazione di tali condizioni di legittimità morale aspetta al giudizio prudente di coloro che hanno la responsabilità del bene comune (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2309). In questo caso l’autorità pubblica ha il diritto e il dovere  di imporre ai cittadini gli obblighi necessari alla difesa nazionale. Coloro che si dedicano al servizio della patri nella vita militare sono servitori della sicurezza e della libertà dei popoli. Se rettamente adempiono il loro dovere, concorrono veramente al bene comune della nazione e al mantenimento della pace (cfr. Gaudium et spes, 79) (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2310).

-          Per la guarigione della coscienza è necessaria l’azione di Dio che si manifesta in particolar modo nel sacramento della Riconciliazione. Pertanto, i sacerdoti devono mostrare pazienza nell’ascoltare le confessioni di coloro che hanno partecipato alle operazioni militari, incoraggiando e consolando i militari e tutte le vittime della guerra, indicando la misericordia di Dio come fonte di guarigione delle ferite corporali e spirituali, incoraggiando altresì ad osservare le norme morali anche in mezzo ai terrori della guerra.

-          Bisogna ricordare che la vittoria sul campo di battaglia è anticipata dalla vittoria morale e spirituale sul nemico, che si basa sulla coscienza di realizzare un’opera buona – la difesa della pace davanti all’aggressore, sull’approccio umano verso gli esiliati ed i feriti, sull’inaccettabilità di qualsiasi violenza contro la popolazione civile. La santità della vita umana e la dedizione alla sua difesa ovunque è possibile – questa è la prima norma e la più importante. Persino le condizioni più difficili di guerra devono diventare un’occasione per manifestare umanità e slancio morale, anziché provocare la liberazione di istinti cechi di vendetta e odio. Che le parole di San Paolo Apostolo siano per tutti un avvertimento e una direzione: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male”(Rm 12, 21).

 

Affidiamo la nostra patria, i governanti del nostro Paese, i nostri militari, i sacerdoti cappellani e tutto il popolo ucraino che soffre in diversi modi alla cura potente dei santi e dei giusti della terra ucraina, e in particolare l’intercessione della Santa Madre di Dio, invocandola dal profondo dell’anima: “Non abbiamo altro aiuto, non abbiamo altra speranza che te, o Purissima Vergine! Aiutaci, in te speriamo e ti lodiamo, poiché siamo tuoi servi, affinché non rimaniamo delusi”.

 

Che la benedizione del Signore sia su di voi!

 

A nome del Sinodo dei Vescovi

l’Arcivescovo Maggiore di Kyiv-Halych

 

+ SVYATOSLAV

 

Kyiv,

Cattedrale patriarcale della Risurrezzione di Cristo,

5 febbraio 2015            

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